Storia di una pagina


STORIA DI UNA PAGINA


Era l’epoca dei lumi e le belle lettere come le scienze erano di salotto. Grandi scaffali di libri erano un lusso consueto nei palazzi dei signori, come a Villa Pananti, a Ronta di Mugello, dove i libri in seta di colore a riporto con la mobilia ornavano il Gabinetto, e dove i “morti aprivano gli occhi ai viventi” in occasione dell’esercizio  alla lettura. Nelle cerchie dei nobili di Firenze, come d’Europa, gli intellettuali trovavano accoglienza e incontro con altre personalità della cultura, anche di passaggio in città, come era accaduto con Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi. Poesia e viaggi permettevano a chi esercitava interessi letterari e scientifici un contatto con il dibattito politico e letterale del proprio tempo. 

Era l’epoca in cui un libro e le pagine di un libro avevano anche una loro intrinseca sacralità, veicolavano il sapere della notte dei tempi al futuro prima che al presente, con tutte le scoperte e le invenzioni del mondo fino a quel momento conosciuto. Ma nessun illuminista, nemmeno l’illustre letterato Filippo Pananti, originario del Mugello, avrebbe potuto immaginare che quasi duecento anni dopo una pagina di una sua opera fosse potuta finire sul fondo di un cassonetto dei rifiuti e che in una sera d’estate una donna librosa come me, impegnata nel recupero e nella salvaguardia dei libri, avesse potuto scorgerla tra le ingombranti immondizie, riconoscerla come una preziosa reliquia del passato e metterla in salvo da una distruzione quasi certa e indotta ai miei contemporanei dalla tecnologia imperante. Questo salvataggio, tra quelli portati avanti con buon esito negli anni della mia scelta incondizionata a tutela dei libri era senza dubbio un miracolo di cui narrare, pagina nelle pagine di una storia da tramandare ancora, prima che al presente, ad un lontano mio prossimo futuro, e non solo di Firenze. E già avevo vissuto per quanto mi riguarda l’emozione della riscoperta della’Encyclopédie di Denis Diderot e Jean-Baptiste D’Alembert, nell’unica copia sopravvissuta ancora integra in una scuola lucchese, quando qualche anno prima avevo avuto la grande fortuna di ritrovarmela fra le mani mentre nei panni di bidella spolveravo i volumi di una biblioteca scolastica poco frequentata. Eppure lo stupore dinanzi a quella pagina non fu da meno. Un tirocinio di formazione presso la Biblioteca statale di Lucca presso il fondo antico mi aveva fornito gli strumenti adatti per indagare la natura dei libri.

Il tipo di carta e i caratteri di quelle poche righe mi ispirarono nella ricerca del libro madre al quale avrebbe potuto appartenere quella pagina, o meglio quelle quattro facciate in-folio, insudiciato dalle macchie dei profanatori del tempo, ma ancora bello al tocco, elegante nel profilo e nella forma, come era nello stile dell’epoca che l’aveva generato. Quella pagina parlava di biblioteca, di libri, di volontà volta alla ricerca, e sembrava indirizzata a me da un committente di fin de siècle. Essa era rimasta staccata dal volume di appartenenza e non riportava un titolo, un nome o un anno di riferimento. La scrittura e le sue caratteristiche generali mi indussero a ritenerla d’epoca, capii subito che aveva visto lo spartiacque di tutte le pubblicazioni, ma non ne fui sicura fino alla scoperta di un riporto. Una breve ricerca mi spalancò una finestra su un capitolo della Firenze del 1830 quando il libro madre di detta pagina fu allora opera giudicata degna di onorevole menzione dalla Reale Accademia della Crusca, classificata quinta dopo la seconda ben più nota “Operette morali” di Leopardi ed altre opere e autori straordinari. La pagina risultò appartenere al lavoro letterario “Opere in versi ed in  prosa” di Filippo Pananti, tomi 3 in 8°, scritta nel 1821, menzionata pochi anni dopo. 

Ecco che quella pagina orfana, strappata al suo libro dalle grinfie dei predatori della cultura, riviveva, parlandomi dell’ingegno di un uomo, della sua biblioteca nella Villa del Mugello, della sua opera menzionata tra le migliori dell’Illuminismo e che noi uomini del web eravamo disposti a cancellare dalla memoria delle future generazioni. Mi raccontò di Filippo Pananti che, fra tutti gli intellettuali toscani della seconda metà del 700’, fu molto stimato per la sua vita cosmopolita e i suoi interessi poetici dall’Accademia della Crusca, e che fu poi tra i primi soci del Gabinetto scientifico-letterario di Giovanpietro Vieusseux. Orfano di padre, Pananti era stato educato dallo zio materno, il dottor Angelo Gatti, celebre medico annoverato fra i precursori del vaccino al vaiolo. Ad un certo punto del suo percorso formativo era stato indirizzato al sacerdozio per le sue attitudini alle lettere ma si ritirò nel 1785 dal Collegio-Seminario di Pistoia non volendo prendere più i voti e respirando a pieno lo spirito illuminista.

Nella mia biblioteca, oggi, mi basta sfiorare la carta di questa pagina per rivedere l’autore nelle stanze della sua casa, curioso tra i volumi del Gabinetto di quella famiglia di antichi possidenti del Mugello, rimasto orfano di padre in tenera età, ottavo di undici figli, affidato alle cure di uno zio illuminato che sapeva guardare oltre il suo tempo, e insieme con lui. 

Ditemi, allora, non è una capsula del tempo questa pagina che dal Mugello di fine Settecento alla Firenze del 2017, dopo un giro di sguardi, di mani, di persone è giunta fino a me? Cosa c’è di più sacro e di più eterno di un libro? Se supera le nostre aspettative, le nostre intenzioni, i nostri desideri e si affida al caso, allora la storia di una pagina può essere di tutti, di Firenze, del mondo intero. Ed io sono felice ad averla guidata per un breve istante. 

Pensateci quando avete un libro tra le mani, prima di gettarlo nel cassonetto: pensate al tempo perduto con esso e alla mancata possibilità di rileggere la vita di chi ci ha preceduto.  Se una pagina resta orfana del suo tempo, cosa ne sarà di noi, orfani del passato? E se gettiamo i libri di oggi, chi ci leggerà domani?

La storia di quella pagina salvata dal cassonetto mi riportò a studi con volte affrescate di paesaggi e grottesche, a biblioteche nobiliari permeate di cultura classica, di riflessioni filosofiche e giuridiche, di antiquaria e di curiosità scientifiche, allo spirito che influenzò il tempo di Leopoldo di Toscana, e che fu linfa anche per coloro che aprirono nel nuovo XIX secolo, sale di lettura ad uso pubblico. 


di Tiziana Fratini © alias Madame Lapress


(Il racconto è stato pubblicato nel volume del Premio Internazionale Letterario e d'Arte "Nuovi Occhi sul Mugello" ricevendo il 3° Premio Assoluto,  Edizioni N.O.N.S. 2018).


Share by: